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“Guadagnarsi da vivere”.
Non fa un po’ strano che tra noi e gli uomini delle caverne sia cambiato ben poco?
Dai graffiti sui muri all’intelligenza artificiale, e nonostante tutto “guadagnarsi da vivere”.

Stando a David Hume, nelle corti del Settecento occorreva essere accomodanti con i Signori per garantirsi vitalizi e un posto a corte. Certo, ogni tanto si vede Figaro a nozze, ma nella stragrande maggioranza dei casi è il modello della vita di corte che tiene il palco.

Vita di corte contemporanea, solo che invece dei Signori c’è finito Uno, nessuno, centomila. 
E quindi via a intavolare nella mente scenari della durata d’un battito di ciglia e il lascito emotivo d’una guerra in trincea. Scelte quotidiane che diventano partite di Risiko con la necessità di far tutto con savoir faire.

Quando è chiaro che nessuno ha più riaperto quel pozzo in cui per sbaglio, da bambini, ci si era imbattuti e guardando dentro abbiamo provato a seguire la via dei perché fino a sentire l’eco solitario della nostra voce scivolare all’infinto, arrivando nel nulla se riusciva a oltrepassare gli atti di fede. 

Nichilismo, esistenzialismo, assurdismo. Comunque la si guardi è evidente che del nulla che sta legato al vivere, di certo non c’è da guadagnarselo.

E allora forse vorrei togliere la maschera da Pulcinella, che di certo l’edonismo invogliato alla fermata dell’autobus non è la sostanza di cui son fatti i sogni. 

Economia, sostenibilità, povertà, metaverso. Tutto sembra un necessario intricato Tetris in cui si continua ad attendere la I da 5 blocchi che risolva tutto e così togliere l’acqua alla gola e cambiare quella musichetta ansiogena di sottofondo di quando si è vicini al game over

Spero che d’ora in poi la frase “guadagnarsi da vivere” non vi lasci indifferenti. Spero smuova qualcosa, anche il più piccolo scotimento di ciglia. Ma davvero posso giocare a Fifa con un coreano nel metaverso e, come l’uomo delle caverne, sia normale pensare che la vita vada guadagnata?

Roma, 29/06/23

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Mentre cerco di mettere insieme le idee per sviluppare un progetto di riflessione e presa di coscienza corale, ho deciso di ri-cominciare a condividere alcuni pensieri. Centri di gravità che condizionano il flusso di coscienza che vorrei svelarmi.

Spero che tra loro si trovi un briciolo di coerenza, se no, sarà interessante guardare nel vuoto o nei vortici che creano.

Come far più nostro il presente?

Ho tre momenti culturali, chiamiamoli così (potrebbero essere cose viste o lette, oppure, esperienze), che mettono a fuoco una tendenza che sento mia, non so quanto sia comune, ma ogni volta che ci penso mi piace e nella quale mi identifico.

Evito di darle un nome che a creare concetti nuovi ci pensano quelli del marketing – che poi sono sempre con gli occhiali da sole. 

I tre momenti culturali che la raccontano, rappresentano sono:

1. Film “The Great Gatsby”: ad un tratto Nick Carraway (l’amico di Gatsby – voce narrante) interpretato da Tobey Maguire (per me Spiderman bacio a testa in giù) mentre tutti scopano in una stanza dice – parafraso – di sentirsi “dentro quei momenti, e al tempo stesso fuori da essi”, li viveva e li descriveva-giudicava.

2. Il limite come luogo (topos – per fare i fighi) della filosofia. Lo “stare nel limite”  tipico della filosofia. Quel punto in cui si è abbastanza vicini a ciò che succede per sentire in prima persona ciò che succede, ma non così vicini da esserne totalmente rapiti. 

3. Il crescere in periferia e l’andare in città, l’abitare all’estero, il vivere fuori sede. Quei momenti che scuotono la silenziosa normalità delle consuetudini prese per osmosi e mentre la vita scorre ne fanno scorgere la diversa increspatura di onde e colori.

Sentire da dentro e descrivere da fuori. 

Forse la sintetizzerei così, che poi è pure il nome che darò (ho dato) a questo pensiero.

A conferma che sia una pratica buona, condivido qui sotto una breve analisi dei modi su queste variabili ipotizzando modi alternativi:

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