— Siro Industry

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January, 2013 Monthly archive

Vi siete mai chiesti perché se amate vestirvi bene, vi piace anche cucinare?
[Non è vero, spari un sacco di cazzate su ‘sto blog, ora ti denuncio alla polizia postale]

La riflessione che vi sto per raccontare [ma che me frega, dal titolo sembrava tutta un’altra cosa, chiudo] è nata credo dall’aumento dei dentro/fuori da negozi per via dei saldi e della caccia all’affare, unita alla costante spesa alimentare settimanale, ed alla crescente passione per la cucina, come dimostrano gli ultimi due video (uno e due) [una sintassi da paura ‘sta frase, bravo].

In ogni caso, oggi vi racconto di come il guardaroba in camera, sia poco diverso dal frigorifero di casa [ma che razza di armadi hai in camera tua?].
Perché abbinare tra loro vestiti, colori, e tessuti, in fondo è come unire insieme ingredienti per creare ricette, piatti gustosi e soprattutto, raccontare se stessi [vestiti con i pomodori, poi ne riparliamo].

Forme di espressività, molto spesso come vestiamo dice più di noi di quanto non crediamo, ovviamente con le dovute attenzioni (si, noi maschietti fashionisti siamo tutti superficiali/che arroganza con quel noi) [e quindi basta che uno sbagli le scarpe ed è fuori? ma voi siete tutti sbagliati].

Allo stesso modo, cucinare per sé stessi, o per qualcuno, può dare molte informazioni sui nostri gusti, ma non solo.. [eh no: se prepari ostriche con peperoncino ad una al primo appuntamento, non sei proprio il maestro della dissimulazione].

Se ci pensate bene, questo binomio si rivela nel suo massimo (ed ora in avanti non potrete più fare a meno di notarlo, e quando ci penserete, penserete a dove l’avete letto, ossia su Siro Industry, e quindi sto involontariamente generando una pubblicità subliminale che ha effetto su chiunque stia leggendo questo post) al momento della scelta di un capo d’abbigliamento o mentre si fa la spesa [un genio].

In entrambi i casi infatti, quando si deve scegliere un elemento, si pensa rapidamente a tutto ciò che si ha in casa con cui potrebbe abbinarsi: se è un paio di scarpe saranno tutti i vestiti, pantaloni, borse, cappotti, accessori, mentre se è un particolare tipo di formaggio, questo varrà per le verdure, i primi che si possono creare, e via dicendo [bah, io sono per gli acquisti di impulso: quello che mi piace compro].

Gli outfit, come le ricette, possono venire dei capolavori mescolando elementi a caso ed improvvisando, e rivelandosi totali disastri nonostante attenzione e cura.
Quello che però i grandi chef ci hanno mostrato (e chi guarda Cracco lo sa) [e chi è Cracco?], è che da un lato la semplicità e la cura dei dettagli sono fondamentali per riuscire, e dall’altro che a volte l’ispirazione è da seguire, sia in cucina, che davanti allo specchio.

Cercate solo di non esagerare a tavola, altrimenti i vestiti nell’armadio saranno tutti da cestinare! [battutona conclusiva proprio, neanche Mr. B avrebbe saputo fare meglio].

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Oggi ho voglia di raccontarvi una storia, una di quelle ricche di misteri, dubbi, esaltazioni e delusioni.
Il luogo è l’ambiente universitario, e la vicenda, seppur raccontata velando alcuni riferimenti, pare sia successa realmente in un ateneo italiano.

Il punto di partenza è un business game ideato all’interno di una laurea specialistica, facoltà di economia.
Due bei gruppi, giocatori selezionati, concept largamente ispirato a The Apprentice, con tutte le recite e le posizioni del programma.
C’è anche un premio: dopo aver scelto il gruppo con l’idea migliore, il Boss avrà il compito di scegliere chi, tra i membri del gruppo, sarà il vincitore di uno stage presso l’azienda dove il Boss lavora (in questo caso alcune fonti sostengono si tratti di Mellin).

Il tema della sfida è il baby food.

Il brief è tanto semplice quanto conciso: ideare un nuovo prodotto per il settore e gestirne il piano di lancio. Un mese di tempo, zero informazioni, tanto lavoro di squadra e di adattamento.

Passato il tempo, ai gruppi viene data l’opportunità di confrontarsi con un’altra azienda del settore (in questo caso credo si trattasse di Plasmon), al fine di avere alcuni feedback sui progetti sviluppati.

Fine.
Si arriva al verdetto: le presentazioni dei tue team avvengono in tempi serrati e rispettando i canoni e le posizioni del business game. Il verdetto è a favore di un team.

Il prodotto vincente è una purea a base di frutta e verdura venduta in un packaging innovativo non ancora presente nel mercato baby food italiano: studiato in modo che il bimbo possa giocare, sviluppare il tatto, e gustare la frutta/verdura, combinate secondo vitamine e gusti.
Unito a ciò, c’è pure un tappo speciale, che permette il rilascio di probiotici all’interno della purea, in modo da dare al baby i fermenti attivi di cui ha bisogno per una sana crescita.

Per il lancio si promuovono iniziative in-store, out-of-store, comunicazione offline e online  e pure una web strategy che premia le mamme e permette loro di inviare un coupon alle amiche tramite un’app su Facebook.

Fin qui, tutto bello.

Un mese dopo, bazzicando per la rete, alcuni riportano la notizia di un nuovo prodotto di Plasmon, dei nuovi snack chiamati “Spremi e gusta”, pensati appositamente per i più piccoli (si legge sul web). 100% frutta, senza zuccheri aggiunti, in una confezione morbida da impugnare e innovativa.

Pare ci sia pure un concorso per le mamme, tramite Facebook, in cui le estratte ricevono in omaggio una calza di prodotti gratuiti, per provarli e farli assaggiare ai più piccoli.

Capirete come sia stato sorprendente per quel gruppo di studenti universitari, vedere in vendita un prodotto che assomigli molto a quello del loro lavoro, opportunamente confessato alla dipendente Plasmon con cui si erano interfacciati prima della finale.

Se io fossi nei loro panni, mi sentirei un po’ perplesso in primis, ma di certo non sarei arrabbiato per un plagio o per un furto di idee, sarei anzi, contento che le idee di giovani studenti, aspiranti manager, siano in linea con quelle di multinazionali leader nel settore, un settore appunto in cui questi studenti si interfacciavano per la prima volta, dopo molti anni.

Se fossi nei loro panni, sarei soddisfatto, e ottimista per il futuro.
D’altronde, la loro idea, a mio avviso, è pure migliore..

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Post veloce del venerdì sera per segnalarvi questa interessante foto scovata su Facebook.

L’iniziativa è di un giovane ragazzo, che invece di pensare al Klout ha altri scopi, e cerca un modo innovativo e 2.0 per raggiungerlo.

Come si sa, in questi casi la solidarietà maschile è forte, e a quanto pare, la soglia è stata superata con forza grazia alla viralità di Petter Kverneng e del suo messaggio!

Quando si dice: le magie esistono.. 

PS: se volete contribuire alla sua causa, trovate la foto qui!

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Questo post dovrebbe iniziare con un accorting to Tomas Chamorro-Premuzic from Harvard Business Review, e poi raccontarvi tutto il mio punto di vista su quanto detto dal docente universitario in questo meraviglioso articolo.

Nonostante questo possa essere un elemento di grande valore, credo che mi limiterò a parafrasare il post, cercando di riportarne i tratti salienti e attualizzarli al momento.
Per dirla in breve: vi prendo un pranzo di sei ore e ve lo metto in una pillola bella compressa!

Si parla di trend del futuro, ma non di quelle cose tecnologiche e piene di nomi strani, bensì di ciò che dovrete/dovreste mettere nel vostro bagaglio culturale per provare ad essere i nuovi cosmopoliti di domani, o semplicemente per non cercare di cavalcare l’onda del cambiamento.

I concetti sono sostanzialmente 3: personal branding, imprenditorialità e iperconnettività.

Personal Branding

Avete presente gli uomini-sandwich? Quelli che si vedono nei film? Siate così!
Utilizzate i social network, i forum, le eventuali piattaforme di blogging per dire la vostra, anche se essa sarà una goccia in un oceano, ricordati che l’oceano è formato da gocce.
Essere sul pezzo poi è un modo per rimanere informati, farvi conoscere, e stare sulla cresta dell’onda (qui potete pure far partire un pezzo dei Beach Boys).

Imprenditorialità

Siate agenti del cambiamento: cercate di personificare il cambiamento che volete vedere nella società.
Un esempio? Volete che si parli più di cultura/arte? Siate promotori ed artisti, influenzatori di un cambiamento che avete nella vostra testa: chi vi sta attorno sarà influenzato in qualche modo, e seppur in una minima parte sarà contagiato dalla vostra idea.

Iperconnettività

Involontariamente di questo ne avevamo pure parlato qualche giorno fa, intercettando i trend del social mobile e del turismo 2.0, andando a costruire un senso civico attorno a questi concetti.
L’iperconnettività non tanto intesa come sindrome da mail o da f5, bensì di condivisione e socializzazione di esperienze e conoscenze (che i consigli di Foursquare siano il vostro faro).

Se riuscirete/mo a sviluppare questi tre comportamenti avrete/mo un notevole vantaggio competitivo per il futuro oltre che ad un interessante approccio per le sfide del domani.

E se lo dice l’Harvard Business Review.. 

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Il titolo non dice nulla di nuovo, i miracoli li fa solo il Signore nostro, e pure a lui non tutto il mondo crede, figuriamoci ai social media.
Eppure, come quando arriva una peste tutti si mettono a pregare disperatamente come se fossero stati il portinaio di Lurdes per i passati 20 anni, anche nel business, quando c’è un periodo di piatta, la nuova tecnologia viene vista come la lampada magica da strofinare.

Ebbene, mi dispiace disilludere tutti, ma non è così.

Ripeto, con questo post non dico assolutamente niente di nuovo, quasi come l’ultima puntata di ogni soap opera in cui tutti hanno già capito il finale, ma non se la vogliono perdere, ad ogni costo (vale lo stesso per questo post? Mah..).

I protagonisti di questo post sono coloro i quali, svolgendo la propria attività da anni, decidono di intraprendere l’avventura sui social network, e benché illuminati dal fatto di iniziare con un supporto esterno/o solo per il fatto di iniziare quest’avventura, non colgono come questa nuova piattaforma sia come tutte le altre forme di comunicazione, se non, più esigente.

I social media infatti, non sono come le adv sulla stampa in cui si può ripetere la stessa illustrazione per qualche mese o proporre contenuti statici, essi vogliono contenuti dinamici, freschi, vivi.

E per farlo occorre avere un animo social: immortalare il dietro le quinte, far vedere in anteprima contenuti esclusivi, gestire il rewarding della community con estrema attenzione.

Detto questo poi, occorre evidenziare che il numero dei Mi Piace (i fan), non cresce all’improvviso: Mick Jagger non ha tutti quei fan perché se ne stava a cantare per la festa del paese e basta, ma perché faceva concerti, creava capolavori, e quindi allo stesso modo le aziende devono essere in grado di supportare il valore del proprio brand/insegna, con iniziative ed eventi mirate a portare le persone dentro i propri spazi, a far parlare di sé a creare contatto più relazionale che transazionale.

Nulla di nuovo, vi dicevo.
Chiunque apra un vecchio libro di marketing troverà scritte le stesse medesime cose.
La pappa non cambia, è sempre il solito mais che diventa pop-corn, solo che oggi, sono arrivati, anche per il marketing, i forni a microonde!

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Nella moderna età del 2.0, in cui anche noi italiani ci stiamo lentamente immergendo, l’unione tra dispositivi mobili (i vostri telefoni/tablet) ed il web 2.0 (tutti quei social network che vi fanno impazzire) dà il via a nuove responsabilità e nuove buone abitudini che bisognerebbe iniziare ad avere (anche senza rewarding).

Molti di voi conosceranno ed utilizzeranno TripAdvisor, magari prima di partire per un viaggio o di prenotare un albergo, ed alcuni di questi magari hanno pure il buon cuore di sedersi davanti ad un laptop e scrivere le proprie impressioni al ritorno da una villeggiatura.

Bene, prendete questo comportamento, unitelo alla mobilità, a tutti i luoghi che potete visitare in una città (la vostra/una nuova) e iniziate a recensire.

Ristoranti, pizzerie, bar, locali, ma anche monumenti, negozi, vie, strade, piazze.

D’ora in avanti gli ambasciatori della vostra città, della vostra regione, del vostro Paese siete voi!
Il turismo del futuro infatti, si baserà sempre meno sulle guide acquistate a caro prezzo in qualche libreria, ma sarà sempre più formato dal crowd, ossia dalla massa di utenti che utilizza queste applicazioni!

Di cosa si parla dunque? L’applicazione che ad oggi sta sviluppando una massa critica di utenti al punto tale da permettere un investimento di tempo/voglia di inserire commenti è Foursquare.

Se vi serve un breve ripasso vi rimando a questo post in cui racconto cos’è Foursquare!

Comunque sia, tornando a noi, tramite quest’app, potrete sviluppare il vostro senso civico 2.0.

Questo per diversi motivi: commentando, inserendo suggerimenti nei diversi luoghi, consigli o particolarità che solo voi conoscete, contribuirete a far scoprire meravigliosi dettagli del vostro territorio (o delle attività che vi stanno più a cuore) a chi ci si reca per la prima volta, o vorrebbe avere uno del posto pronto a fargli da Cicerone.

E se poi voi stessi vi sentite un po’ il Cicerone del villaggio, perché ne sapete una più del diavolo, è la soluzione giusta per sfogarvi e far apprezzare la vostra sapiente esperienza e conoscenza del posto, creando appunto liste di cose da fare, luoghi da visitare, ristoranti in cui mangiare, al fine di svelare gli aspetti più interessanti a coloro che non li conoscono.

Sempre più spesso infatti, quando si arriva in un luogo che non si conosce, si tende ad affidarsi a questi strumenti (Foursquare in primis) per riuscire a scoprire quali siano i posti giusti, senza troppe influenze o conflitti di interesse, ma tramite commenti disinteressati (al limite del possibile, ovviamente/siamo pur sempre in Italia).

Bene, ora che sapete cosa fare, andate su it.foursquare.com, scaricate l’app, uscite, recensite, e se volete un esempio, guardate le mie piccole liste Foursquare su Rovigo (per ora)!

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