Miei cari lettori,
un saluto e un ben ritrovati al termine di questi giorni natalizi.
Spero li abbiate passati con gioia e belle emozioni, perché ora si torna a leggere Siro Industry!
Oggi ho avuto un’illuminazione, secondo me quasi geniale: una banalità così ovvia che nessuno ci avrebbe mai fatto caso. Ora ve la racconto.
Avete mai provato ad accostare la cucina di un Paese con la lingua parlata in esso?
Sembra un nulla di che, ma la relazione c’è, ed è tanto efficiente quanto biettiva! Ecco come:
partiamo da casa nostra, l’Italia quindi, madre della cucina mediterranea, dai sapori tipici, legati alla tradizione, e con molte sfumature di gusti caratterizzate dalla pienezza di sapori. Tutto ciò non può assimilabile anche alla lingua italiana? Ricercata, caratterizzante, piena di ingredienti e di sapori risultato di tradizioni latine e romane stesse.
Passiamo poi all’inglese, che indipendentemente dall’origine british o american, si distingue per l’essenzialità della forma: semplice, veloce, la possibilità di dire con due o tre parole ciò che un italiano direbbe con un’intera frase, complessa e articolata. Tradotto in cucina, due parole: Fast Food, uno stile di mangiare che rispecchia in tutto e per tutto quello della lingua.
Arriva poi il momento della Francia, ricca di pronuncia, sfumature d’accenti, ritrovate poi nei piatti degli chef transalpini attraverso salse, sapori ricercati e sofisticati.
La Germania poi? Il tedesco duro e con quel kartoffen/krauten che richiamano un’alimentazione efficiente, pragmatica, portata più per il pratico e l’industriale che per la sfumatura ed il dettaglio.
Tentiamo infine un salto in Asia, e andiamo in Cina, dove gli ideogrammi ci ricordano lontanamente gli onigiri (grazie a Zizz) nei manga e anime cinesi o comunque sia giapponesi.
Ve ne vengono altri in mente?
Segnalateli tra i commenti. Perché la lingua, serve in cucina!
Saluti.
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