— Siro Industry

L’orizzontalità che vince sulla verticalità di pensiero

storia pensiero

Negli ultimi giorni ho dialogato con diverse persone, ascoltato molti pareri, e letto, visto più o meno argomentazioni riguardo a quelli che sono alcuni temi politici che hanno interessato Italia e Europa.

Da un’interessante conversazione poi, è uscito un concetto che poi ho effettivamente riscontrato online, ossia il problema che le persone, al giorno d’oggi (e qui chiaramente mi ci butto in mezzo a piè pari), conoscono molto meno il loro passato ed i personaggi che hanno fatto la storia della loro nazione, paese, realtà, piuttosto di quanto magari era consuetudine fare qualche decade fa.

Interessante poi la conseguente interpretazione a ciò, fornitami (in questo caso la sviluppo in seguito), in cui la vaga conoscenza del passato e l’attacco al presente come unica fonte di giudizio e di riflessione possano portare spiacevoli considerazioni. Una su tutte, partendo dall’idea che il presente per definizione non esiste, in quanto momento fugace posto tra passato e futuro (un po’ come la probabilità di un punto in uno spazio), è immediato capire come il solo basarsi su quell’unica dimensione possa dare problemi di apprendimento e di previsione.
L’idea che ne discende quindi, (ed anche qui riporto, e condivido) è quella che senza una visione dinamica che parte dal passato e porta al presente, difficilmente si possa osservare il futuro; rimanendo dunque soggetti all’emozionalità del presente stesso, o alla battuta più divertente.

Slacciandomi un po’ da questa premessa, sulla quale si potrebbe disquisire per ore se non giorni, ho voluto interrogarmi da cosa dipende questa tendenza, questo minor interesse verticale verso la propria storia (provo a generalizzare), il proprio retaggio, quella che in economia è chiamata path dependance. 

La risposta alla quale sono arrivato è che negli ultimi decenni, principalmente grazie ad internet, alla globalizzazione, e ad un sistema sempre meno comunale, statale, ma più globale, le persone siano maggiormente attratte da una dimensione orizzontale, piuttosto che verticale.

E qui quindi è scattato il collegamento con la teoria di spazio e tempo, e su come oggi giorno si tenda più ad osservare la variabile spazio piuttosto che quella tempo. 

Figlia di una velocità dell’intero sistema, di una minor profondità di lettura, pensiero, dettata appunto sia dai mezzi di comunicazione, di pensiero e di dialogo, il presente sembra voler portarci ad avere una conoscenza globale e di facile lettura (leggendo una rivista settimanale come l’Internazionale e mi sento consapevole di avere un’infarinatura su cosa sta succedendo nel mondo, senza però conoscere tutto l’iter a monte), piuttosto che un’attenta analisi e approfondimento su quanto sviluppato nel tempo (prendo un libro ed approfondisco dei fatti o teorie).

Dove può portare questo atteggiamento?

Ipotizzo che senza una precisa verticalità di analisi e riflessione, l’orizzontalità del confronto e del paragone si perda, in quanto non inserita in un modello frutto di generazioni ed esperienze reali, di cui si possono apprezzare cause e conseguenze.

È bene dunque estromettere una miopia tolemaica a favore di un’ampliamento di prospettiva, senza però dimenticare di scendere verticalmente e riprendere il flusso storico per permettere una visione dinamica ed evoluzionistica d’insieme, che porti ad una criticità di pensiero.