È iniziato da un paio di settimane il mio (si spera/in teoria) ultimo anno universitario, e come me, come ogni anno del resto, altri milioni di studenti avranno postato la celebre frase “il mio ultimo primo giorno di scuola”.
Se fino ad ora, chiuso un traguardo davanti si apriva la domanda di dove proseguire gli studi, in che città trasferirsi per un periodo di tre, due o cinque anni, ora le cose cambiano.
Ebbene sì, perché se fino ad ora si poteva stare tranquilli e vivere in un ovattato recinto di “sicurezze scolastiche”, in cui il più delle volte spettava allo studente la fatidica scelta, potendo condividere il rischio con altri compagni/colleghi, ora è diverso.
È diverso perché riemergono contemporaneamente tutti i servizi dei telegiornali che raccontano una situazione che raramente ha avuto precedenti nella storia moderna: una forte incertezza delle condizioni ambientali circostanti, incrementata da una recentissima tensione dovuta alla crisi di governo, che magicamente si sposta da un sottofondo distante durante l’ora di pranzo, ad un pesante masso sotto il collo.
Anche perché finito un ciclo di studi, uno vorrebbe coronare il proprio percorso, i sacrifici fatti da genitori, parenti e dal diretto interessato, che ha sostenuto rinunce, investimenti ed impegno.
La terra sotto dunque, si fa un po’ meno solida, e se si ha il coraggio di pensare oltre al proprio territorio, di immaginare in grande, di seguire i propri sogni e di essere un po’ choosy, quello che fino a qualche settimana era un’immaginario pur parler diventa solida realtà.
Italia si, Italia no, mi verrebbe da canticchiare sotto voce, mentre intanto la sensazione che tutti stessero aspettando che ti laureassi per chiamarti si fa più lieve, e se anche hai dato il massimo in questi anni, cominci a dubitare che non sia mai abbastanza, anche perché ormai la competizione non la si fa più con il laureato in Bocconi, o alla Luiss, ma è direttamente con UK, India, Cina o l’interland di Boston.
È una sensazione poco piacevole, che di certo sarà capitata a molti che si sono trovati a lottare tra realtà e sogno, tra cambiamenti e l’incertezza sgomitante che arranca tutt’attorno.
Si passa dallo stare all’interno di una stanza fatta di pareti, scrivanie e libri, ad un piedistallo traballante, come se di colpo le mura si fossero aperte, e sopra di sé si fosse aperto il cielo.
Una sensazione liberatoria, di traguardo, ma con l’angoscia che guardando il cielo non si scorgerà una volta illuminata, ricca di stelle, ma solo nebbia e nuvole. E speriamo non piova pure!
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