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September, 2013 Monthly archive

tramonto parma

È iniziato da un paio di settimane il mio (si spera/in teoria) ultimo anno universitario, e come me, come ogni anno del resto, altri milioni di studenti avranno postato la celebre frase “il mio ultimo primo giorno di scuola”.

Se fino ad ora, chiuso un traguardo davanti si apriva la domanda di dove proseguire gli studi, in che città trasferirsi per un periodo di tre, due o cinque anni, ora le cose cambiano.
Ebbene sì, perché se fino ad ora si poteva stare tranquilli e vivere in un ovattato recinto di “sicurezze scolastiche”, in cui il più delle volte spettava allo studente la fatidica scelta, potendo condividere il rischio con altri compagni/colleghi, ora è diverso.

È diverso perché riemergono contemporaneamente tutti i servizi dei telegiornali che raccontano una situazione che raramente ha avuto precedenti nella storia moderna: una forte incertezza delle condizioni ambientali circostanti, incrementata da una recentissima tensione dovuta alla crisi di governo, che magicamente si sposta da un sottofondo distante durante l’ora di pranzo, ad un pesante masso sotto il collo.

Anche perché finito un ciclo di studi, uno vorrebbe coronare il proprio percorso, i sacrifici fatti da genitori, parenti e dal diretto interessato, che ha sostenuto rinunce, investimenti ed impegno.

La terra sotto dunque, si fa un po’ meno solida, e se si ha il coraggio di pensare oltre al proprio territorio, di immaginare in grande, di seguire i propri sogni e di essere un po’ choosy, quello che fino a qualche settimana era un’immaginario pur parler diventa solida realtà.

Italia si, Italia no, mi verrebbe da canticchiare sotto voce, mentre intanto la sensazione che tutti stessero aspettando che ti laureassi per chiamarti si fa più lieve, e se anche hai dato il massimo in questi anni, cominci a dubitare che non sia mai abbastanza, anche perché ormai la competizione non la si fa più con il laureato in Bocconi, o alla Luiss, ma è direttamente con UK, India, Cina o l’interland di Boston.
È una sensazione poco piacevole, che di certo sarà capitata a molti che si sono trovati a lottare tra realtà e sogno, tra cambiamenti e l’incertezza sgomitante che arranca tutt’attorno.

Si passa dallo stare all’interno di una stanza fatta di pareti, scrivanie e libri, ad un piedistallo traballante, come se di colpo le mura si fossero aperte, e sopra di sé si fosse aperto il cielo.

Una sensazione liberatoria, di traguardo, ma con l’angoscia che guardando il cielo non si scorgerà una volta illuminata, ricca di stelle, ma solo nebbia e nuvole. E speriamo non piova pure!

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aula universitaria

Una domanda che mi è sorta in questi giorni prendendo a campione sia un’aula universitaria che, al tempo stesso, la timeline di Twitter e di altri social media: Italia: patria di chiacchieroni e suocere, o timidi e bisognosi di conferme?

Chi lavora a stretto contatto con i social media, ben sa che molto spesso i propri fan o followers, preferiscono osservare in silenzio, magari mettere un like, e raramente commentare il contenuto.

Questo vale per Facebook, ma anche e soprattutto per Twitter, dove se paragoniamo lo scenario con gli States, il rapporto è veramente scalzante: vuoi per un digital divide, una mentalità meno aperta al nuovo e meno tecnologica o per altre ragioni sociali che andremo ad investigare successivamente.

Aula universitaria (classe specialistica): il professore pone una domanda a circa duecento persone e ad entrare nel dibattito sono sempre i soliti volti noti. Ciò non succederebbe mai (parole del docente) in una classe americana, dove si sgomiterebbe per dare una risposta, mentre sarebbe molto più riscontrabile in un ambiente orientale, cinese, dove la cultura è, per l’appunto, diversa.

In questi giorni poi, in Italia si è aperto un forte dibattito attorno alle parole di Guido Barilla, e subito righe di giovani soldati pro-gay o pro-etero a sbraitare a colpi di cinguettio e di post.
Boicottaggi vari e schieramenti di fronte ad un’affermazione legata alle politiche comunicative di un’azienda leader del settore che da sempre ha messo la parola famiglia al centro della propria immagine.

Tre esempi per dire cosa?
Per provare a riflettere sulla domanda di inizio post:

Italia: patria di chiacchieroni bisognosi di conferme?

Quello che infatti si denota dai casi appena letti, è che l’Italiano medio (senza andare a scomodare gli Articolo 31) è una persona che forse molto spesso è disinteressata e troppo pigra per intervenire attivamente alla discussione (aula universitaria/ social media), ma si attiva e sprigiona tutta la propria indole comunicativa quando ci sono dibattiti e questioni che mostrano già fazioni precise nelle quali poter esprimere un giudizio che sia, in qualche modo, approvato a priori.

Una costante ricerca di approvazione dunque, figlia  di un’insicurezza di fondo sui propri mezzi e sulla paura di sbagliare (e qui è facile il confronto con la cultura del fallimento squisitamente americana) che toglie libertà e creatività di pensiero, possibilità di dialogo, ma che diventa fonte di violenti scontri qualora ci sia la sicurezza di avere l’appoggio di una comunità.

Forse provare a creare e supportare un pensiero indipendente,  con la consapevolezza di poter sbagliare, potrebbe essere un interessante punto di partenza per ascoltare entrambi i lati, proporre soluzioni creative e perché no, rivedere in un secondo momento la propria posizione.

E si può partire a farlo nei modi più semplici: una mano alzata in aula, un twitt con l’hashtag o un post sul proprio blog.

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footer

Benvenuti in Siro Industry 3.0.

Cosa sta a significare quel 3.0 e perché un restyling così impattante al sito web?
(e non solo, ma non è bene giocarsi tutti gli assi alla prima mano)

È presto detto, ma prima occorre ripassare un po’ il percorso di Siro Industry.

La versione 1.0 vede la nascita di Siro Industry nella piattaforma Blogger come un blog prettamente personale, i main topic (potrete scorgerli nell’archivio di destra) sono legati a tematiche sentimentali, adolescenziali, nella forma più personale del termine blog (web log). In pochi si ricorderanno la prima grafica del sito: l’immagine del mio volto, distinto e ben presente nella sidebar di sinistra del blog.

Dopodiché si è passati alla versione 2.0: grafica più aperta e tematiche ampliate di conseguenza: è iniziata una grande fase di sperimentazione (che trovate descritta nella pagina Nel Tempo) riassunta nel logo di testata realizzato a mano, simbolo della dinamicità del periodo e dell’elevato numero di elaborati.

Ora il blog ha raggiunto una certa maturità, pensate che è nato nel 2009, quando in Italia iniziava a diffondersi Facebook: sono solo 4 anni, ma nel mondo digitale significa almeno il doppio.

Divagazioni a parte, era arrivato il momento di fare un salto di qualità, e con l’occasione si è pensato di passare a WordPress (se trovate errori o bug, segnalatemeli: vincerete 10 punti grifondoro!).

Il perché di questo cambio.

Lo stile minimal e la grafica sfondo bianco/ parole nere sono la rappresentazione di quello che vuole diventare Siro Industry con questa versione 3.0: un punto di confronto in cui la semplicità dell’infrastruttura deve lasciare spazio solo al testo ed alla concettualizzazione.

Le categorie disegnate (nel senso design del termine) vanno a dare una struttura al blog e a rendere disponibili ed accessibili gli articoli passati in maniera più organizzata.

L’armonia dei colori e l’agevolezza nella lettura sono stati studiati per dare una piacevolezza di riflessione ed un momento di pensiero al lettore, enfatizzato dagli ampi spazi bianchi sui lati.

Semplicità come stile di pensiero, riflessione e confronto.

Benvenuti in Siro Industry 3.0.

 

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Il settore dell’editoria sta cambiando a ritmi incredibili, incassando e restituendo colpi a destra e manca, in uno scenario tra i più incerti e difficili dell’intero panorama mondiale.

Tralasciando il complicato mondo dei libri, e concentrandoci maggiormente su quello delle riviste e quotidiani, è facile notare come il web abbia dato una forte scossa all’intero settore, ponendo sostanziosi punti di domanda sul ruolo delle presenti aziende con un modello di business prevalentemente basato sull’offline dove la pubblicità degli inserzionisti ed il prezzo d’acquisto hanno alimentato un’industria che ha fiorito fino all’ultimo decennio (per approfondire l’argomento Marketing channel. La creazione di valore nella distribuzione specializzata, Lugli G., 2007).

Ad oggi dunque, i punti critici verso cui le case editrici si trovano dinanzi sono due:

  • quale sarà l’evoluzione online dei prodotti esistenti
  • quali possono essere nuovi modelli di business da intraprendere

Cerchiamo di capire cosa sta succedendo e quali sono i possibili scenari futuri.

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