— Siro Industry

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May, 2010 Monthly archive

A voi, il nuovi simboli di Siro Industry.


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Rieccoci online,
nuovo post di Siro Industry, quando Maggio sta per essere strappato dal calendario, e la crema abbronzante ha ancora il sigillo di garanzia appiccicato. Ci si ritrova qui, piattaforma/blog di riferimento per chi non si ferma mai e ha voglia di una boccata d’aria, o per chi, immobile, fa zapping con il mouse alla ricerca di qualcosa che smuova la giornata.
Beh, oggi volevo parlare con voi di un particolare della scuola e del sistema istruzione che ho elaborato e a cui ho fatto caso un paio di sere fa. Un point of view diverso dal solito, che i media ci han abituato a sentire.

Elementari, medie, superiori: tre piani congiunti rispettivamente da 5, 3 e 5 scalini (per alcuni anche qualcuno in più) che portano il piccolo bimbo dal grembiulino nero sull’attico del block, con barba e auto in parcheggio. Spesso sono scale con corridoi costruiti con regole, permessi e divieti, che rimanendo costanti con il passare del tempo, diventano stretti e inadatti per la crescita del fanciullo.
Un modello quindi, che mette gli stessi banchi dei bambini di 6 anni a 18enni che sentono la scuola come un obbligo pesante e poco costruttivo.

Bene, ora che vi siete inseriti nel contesto, posso partire con il mio pensiero, la mia riflessione.
Tale omogeneità e tali restrizioni che portano gli studenti fino al giorno della maturità, lo pongono in un ovulo di ovatta nel quale tutto è stabilito, ed a loro non è concesso scegliere se andare a lezione o no, l’obbligo dei compiti per casa, ed un sistema di pacchetti prestampati che pongono il giovane nella situazione di dire “Ok, faccio ciò che mi dicono di fare”.
Poi, la svolta.
Ricevuta la maturità, si esce dal palazzo, sul tetto. E da qui si vede tutto:  i grattacieli più alti, ciò che sta sotto, e un’infinità di opportunità circostanti. L’altezza però è notevole, ed un passo falso o una scelta sbagliata possono creare situazioni di non ritorno.

Insomma, il peso delle scelte comincia a farsi sentire, e le distrazioni che passano ai lati quasi fosse un paese dei Balocchi offuscano la vista.
Allora si riguarda sotto, si cerca un consiglio, ma si vedono solo tomi di storia, matematica, letteratura, ma non quel libro, quello che si cerca affannosamente ma senza dar nell’occhio, dal titolo Imparare a Scegliere, che non viene messo tra l’elenco libri di settembre, e neanche tra quelli consigliati.
Già, un libro dei libri, di cui ognuno deve essere scrittore, editore, e promoter, nel quale bisogna saper separare l’utile, dal futile; capire ciò che serve a sé e cosa agli altri, e scopiazzando qua e là, da chi è già ad un buon punto, bisogna mettere nero su bianco il manuale di sé stessi.
Una volta fatto, non occorrerà neanche faticare per studiarlo, lo sapremo già tutto.

Saluti.

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E’ successo ancora, proprio prima, in macchina.
Lampioni giallognoli, che scintillavano sull’asfalto, e tutt’intorno un chiarore lunare faceva respirare una brezza estiva: l’erba appena tagliata e il mite vento che sfiora il viso e che entra scomodo dal finestrino appena abbassato.
Sul lettore cd c’è scritto Random, e casualità vuole che passassero proprio quelle canzoni lì, quelle delle prime volte in discoteca, quelle di qualche anno fa, cosi vicini con le cifre, ma distanti alla mente.

Ancora mi ricordo come la domenica pomeriggio fosse un evento il cui pensiero era forte e presente tutta la settimana, ti accompagnava in ogni ora del giorno, puntuale, e quando arrivava finalmente, tutto era così luccicoso, perfetto e nuovo. Nuovo sì, solitamente quando qualcosa ha l’adesivo New possiede sempre quel tocco in più, quel luccichio magico. Poi però fu la volta del sabato, del venerdì, e pian piano, con il ripetersi delle settimane il valore di quel momento è andato a calare, si è perso tra i tanti drink, le notti intramontabili, e le aurore incontrate sulla strada di casa, diventando sempre più uniforme.

Una realtà banale, ma che mi serve per riflettere su come il tempo che passa sia la crisi del nostro vivere.
Come la crisi infatti (economica s’intende), anch’esso fa paura a tutti, mette ansia e ha controreazioni che si portano avanti, ma una cosa più di tutte, screma la generalità delle cose superflue, dando valore a ciò che è essenziale e che realmente serve, gettando un pacchetto di sigarette e mostrando con lenti diverse la gioia di una cena in famiglia.

Saluti.

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Sottovoce, e senza dar nell’occhio.
1 anno e 1 settimana dopo la sua nascita (circa).
Un ringraziamento a tutti voi che avete seguito, commentato e fatto crescere Siro Industry.
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Torno a mettermi di fronte a questo schermo luminoso, bianco, lucente.
Le prime parole cominciano a riempire un freddo ed accecante sfondo, e piano piano si fa forma un preambolo di questo post, ultimo di una lunga serie.

Quest’oggi vorrei che vi fermaste a riflettere su un particolare della comunicazione al giorno d’oggi.
E’ straordinariamente sorprendente come nella realtà quotidiana ci si riesca a destreggiare con leggiadria innata in offese, insulti blasfemi d’ogni genere. Con un originale senso di humor ed una spiccata fantasia, ci si diverte a tinteggiarle delle sfumature più variopinte, per dar tono a quelle che fino a qualche anno prima erano le parolacce, ma che con il passar del tempo, sono diventato il punto esclamativo a fine frase, o l’apposizione per ogni tale.
A discapito di queste però, si perdono tra i timori e le fragilità d’un castello di carte quei amabili e semplici petali di frasi che vanno dal semplice grazie ad uno scusa a testa china.
Sembra quasi che la tendenza che si assume col passare degli anni, e al crescere della società sia contro educativa a quel che ci insegnava la suora all’asilo, o la mamma dopo una bella sgridata.
Servirebbe un cambio di rotta?

Beh, non c’è poi da sorprenderci poiché pure Elton John aveva cantato che scusa non era poi così facile da dire..
Saluti.

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Un po’ di distrazione, aiuta a concentrarsi.
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